martedì 16 giugno 2015

Ad un certo punto si torna a casa.



Ormai sono due settimane che sono tornata in Italia.
Aspettavo il momento giusto per scrivere una riflessione finale, ma questo momento sembra non arrivare mai.
E' dura mettere un punto ad una storia che una fine non ce l'ha. Ma io ci provo.


Il tempo scorre e io ripenso.
Sono in camera mia, come sei mesi fa, a guardare fuori dalla finestra e a interrogarmi sul futuro.
La più grande fregatura del viaggiare è che ad un certo punto si torna a casa.
E nonostante tu sia consapevole che quello che hai vissuto ti abbia cambiato profondamente, tornare da dove si è partiti sembra quasi relegare quell'esperienza di vita ad un sogno, che non si è certi ci sia stato veramente.
Le stesse mura, la stessa porta, lo stesso cuscino e la stessa colazione.
Tutto regolare. Tutto come prima. E il vedrai sarà tutto diverso quando torni sfuma nel giro di qualche secondo.

La fatica più grande per chi torna è una sola. Non il riadattarsi al fuso orario, al cibo, al letto diverso o a chissà quale pragmatica scomodità. La fatica più grande per chi torna è quella di mantenere vive le sensazioni forti e belle che il viaggio ti ha dato. Le sensazioni che pensavi fossero indelebili, ma che invece all'improvviso iniziano a sfumare e confondersi.

Chiudo gli occhi e cerco di ricordare...

...quel vivere alla giornata, quel vagare e innamorarsi ogni secondo di luoghi sconosciuti e imprevisti, quel non curarsi di niente se non di se stessi e della propria capacità di aprire gli occhi, tendere le orecchie e apprezzare ogni cosa che ci circonda, contraendo i muscoli del corpo come solo un cerbiatto attento riesce a fare, nell'aria fresca dell'alba e la luce leggera della montagna.

Io ho vissuto, io ho visto, io sono stata.

Questo è quello che ci si deve ricordare tornando alla partenza.
Si deve ricordare di non farsi annebbiare i sensi dai problemi di tutti i giorni, dalle preoccupazioni di ieri e di domani, si deve ricordare che siamo delle farfalle e che le farfalle sono animali semplici e liberi di volare.

Ogni giorno New York mi ha regalato qualcosa che rimarrà dentro di me.
Mi ha regalato la consapevolezza di chi sono, dei miei limiti e di quelli che finalmente sono riuscita a superare. Vivere da sola, apprezzandomi e facendomi compagnia, senza piani, senza aspettative, con il solo mezzo del presente per appagare le mie giornate.
Sapere di poter contare su una forza interiore che prima c'era ma che aveva paura di farsi vedere e di essere semplice e gioire di questa semplicità.

Vivere a New  York mi ha dato serenità, mi ha dato felicità, mi ha dato coraggio.
Ora il mio compito è difficile.
Tornare e restare.
Cercando di vivere come ho imparato a vivere, come se camminassi ancora alle due di notte tra le avenue di una città bella e rumorosa, con in mano una brioches al cioccolato e un sorriso sul viso.
O come fossi ancora sdraiata all'ombra di un grande albero a Washington Square Park, mentre una banda suona il jazz a pochi metri e io seguo il ritmo col pensiero.
O come se stessi ancora a piedi nudi sull'erba fredda della collinetta del Chelsea Pier, ad aspettare il tramonto sull'Hudson e ad ascoltare la calma della sera che cala e il frusciare delle onde.
O come se pedalassi ancora sotto il sole di mezzogiorno senza una meta, col desiderio di perdermi e di vedere chissà quale angolo sconosciuto di Manhattan.
O come se imparassi di nuovo a non incolparmi di essere troppo emotiva, perchè come mi ha detto qualcuno...essere emotivi rende reali.
O come se semplicemente fossi ancora lì, a guardarmi allo specchio e a dirmi che alla fine qualcosa di buono in questa vita combinerò. A crederci ogni giorno come mi ha fatto credere New York e a crederci adesso, perchè finora ci ho provato.
Ed infine spero con tutto il cuore di aver reso felice chi ha condiviso qualche momento con me, sperando di aver trasmesso positività, allegria e tanto amore sincero, in questo lunghissimo viaggio tortuoso che è finito, ma che è appena iniziato.